Negli ultimi anni la Corea è diventata uno dei paesi la cui cultura e lingua si è più diffusa. Potremmo dire che sia sbocciata. Ebbene, in gran parte lo deve al k-pop che da un genere di nicchia, ascoltato solo da pochi, si è trasformato in una vera e propria fenomeno internazionale. Un ciclone che ha travolto tanto l’Europa quando l’America e che in poco tempo si è fatto spazio nel panorama musicale internazionale. Scopriamo quindi il ruolo del K-pop nello scambio di culture!
Quello che a mio parere colpisce maggiormente è la velocità e la repentinità che ha caratterizzato la k-wave. C’erano già stati, in passato, gruppi che avevano calcato la scena americana. Mai prima d’ora però quest’onda aveva travolto in maniera così assoluta e diversificata la società occidentale e non solo. Il k-pop è stato il trampolino di lancio che la Corea stessa ha potuto utilizzare per condividere la sua cultura, storia e tradizione.
La lingua è sicuramente ciò che distingue il k-pop come genere musicale; rispetto ad altri invece in cui l’inglese è da sempre dominante. Il termine stesso contiene quella ‘k’ che localizza immediatamente la provenienza di questa musica.
Nonostante possa sembrare difficile da comprendere, le giornate di migliaia di persone sono accompagnate da melodie in una lingua che per quanto diversa dalla propria, li ha comunque incuriositi tanto da tentare di impararla. Spesso infatti appassionati e fan di questo genere intraprendono percorsi, su diversi livelli, per cercare di familiarizzarsi con l’alfabeto e le forme più basilari della lingua. Altri approfondiscono ulteriormente l’apprendimento del coreano, arrivando perfino a padroneggiarlo.
Quello che era un semplice interesse musicale si è trasformato in poco tempo in un catalizzatore per la diffusione di una lingua che fino a pochi anni fa era limitata alla penisola coreana. Un vero e proprio loop dal quale è difficile uscire. Quando ascoltai per la prima volta una canzone degli EXO nel 2016 ne rimasi rapita, completamente. E, devo ammettere, anche molto sorpresa. Non riuscivo per altro a spiegarmi come non ne fossi venuta a conoscenza prima.
Quello credo sia stato il mio ‘punto di non ritorno’. Dai testi delle canzone alle melodie. Dai videoclip così fuori dal comune ai gruppi stessi. Un universo completamente diverso rispetto alla musica e ai cantanti con cui ero cresciuta o che erano alla moda a quei tempi. Eppure quello che in passato mi aveva motivato nell’imparare l’inglese, accadde anche con il coreano. Nonostante le difficoltà linguistiche e grammaticali non fossero le stesse.
L’esperienza precedentemente descritta accomuna molti fan di k-pop. Quella curiosità è ciò che ha spinto molti di noi a superare la barriera linguistica che a detta di alcuni è insormontabile. Da lì il passo è breve e addentrarsi nel mondo del k-pop lo è ancora di più.
Credo che molti di noi inizialmente siano passati in quella che ho deciso di battezzare come ‘fase della romanizzazione’. Quella fase in cui si cerca di aggirare in qualsiasi modo l’ostacolo ‘alfabeto’. Un ostacolo che solo all’inizio pare impossibile e che invece con il tempo diventa un lontano ricordo. Al primo contatto però con questa lingua così diversa è facile cadere in tentazione e ricorrere alla trascrizione. Generalmente la si utilizza per avere almeno una parvenza di comprensione o per riuscire a pronunciare correttamente i testi senza conoscerne effettivamente il significato.
Questa fase è spesso transitoria, sopratutto quando si iniziano percorsi di lingua guidati. Infatti, il primo consiglio che viene dato è proprio quello di non appoggiarsi alla romanizzazione; sarebbe meglio invece abituarsi all’alfabeto e alla scrittura coreana fin da subito.
Un altro aspetto che grazie ruolo del k-pop si è diffuso è la cultura, la storia e i valori della società coreana. Gli idol in particolare ne sono stati i veri promotori. Non solo, attraverso i programmi a cui partecipavano, ma anche i reality che le compagnie stesse creavano per cercare di presentare i rispettivi gruppi ad un pubblico il più ampio possibile. I sottotitoli poi sono stati la vera svolta. Hanno permesso infatti che questa audience crescesse e non si limitasse solamente all’area asiatica.
Attraverso piattaforme come youtube questi variety shows sono riusciti a diffondere la cultura di questo paese e le tradizioni ad essa legata. A tal proposito non sarà strano per un fan di k-pop sapere cosa sia un hanbok, la ricetta per il kimchi o le origini del pansori; così come tanti altri aspetti legati per esempio alle feste nazionali o giornate come il pepero day.
Da questo punto di vista anche i videoclip delle canzoni hanno giocato a favore di questa k-wave culturale. Basti pensare alla rivisitazione degli hanbok che le Blackpink hanno sfoggiato in How You Like That, title song del loro The Album del 2020. Sono dettagli del genere a fare la differenza. Soprattutto se li si contestualizza, inserendoli in una cornice più ampia.
Un altro fenomeno altrettanto curioso è la creazione di un vero e proprio vocabolario ad hoc per il settore. Un mix tra la lingua inglese e la lingua coreana che ha contribuito alla divulgazione di parole come ‘bias’ o ‘bias wrecker’. Al tempo stesso altrettanti termini che in coreano già esistevano e che si utilizzano quotidianamente, sono entrati a far parte del vocabolario di molti giovani, proveniente da tutto il mondo.